Le quattro stagioni

ARZAGO OLTRE L'ADDA

SCHIZZO STORICO

DI

UN ARZAGHESE

Autore
.......del suo nome
Lo titol del mio sangue fa sua cima.
(Purgatorio XIX, 101-102)

MILANO

COI TIPI DELLA PERSEVERANZA
========
1873


All'Onorevol Signore

GIUSEPPE VENINI

SINDACO MERITISSIMO DI ARZAGO

dal 1859 al 1871

I dodici anni di sua zelante e prudente amministrazione ristoro ben altro le meriterebbero, che la dedica di queste poche e malcucite paginette. Ma che vuole? I due vivi desiderj e di empiere, -- come che sia --, una lacuna ingiusta lasciata sopra questo Arzago dal nostro Rampoldi nell'utilissima sua Corografia dell'Italia, e di dare un piccolo lumicino a chi fosse nel bujo totale circa a quelli storici nomi da lei imposti pur anzi alla via maggiore ed alla piazza d'Arzago, mi furono due dolci sproni a schizzare il presente scrittarello. Racimoluzzi e non più: -- meglio che il nulla appena.


II dicembre del 1871. 

UN SUO ARZAGHESE

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ARZAGO IN GHIAJA D'ADDA

Arzago o Arsago, forse da Arsaigh, antico, longevo(1) ( e se ciò fosse, antico sarìa stato trovato insino dagli antichi Celti). -- giace nella Ghiaja d'Adda, quasi al confine della provincia di Bergamo, alla quale appartiene, con quella di Cremona, sopra un territorio paludoso e malsano (2), massime dacchè vi furono ammesse le risaje aratìe in supplimento dello scarso o fallito raccolto de'bozzoli. Più di una sesta parte delle terre arzaghesi è coperta da sodaglie e da pascoli, pure le altre cinque, benchè molto sassose, e però tante denominate magagnane, producono frumento, grano turco eccellente, e

.......... quel caro pomo
Vago, odorato, che di Persia ha il nome (3).

(1)Dictionarium scoto-celticum. Edinburgh, 1828, vol. 2 in - 8.
(2)Onde: "Quì nessun raggio di beltà si mira", Tasso, Son. am. LVI, v.5.
(3) Alamanni, Cultiv, lib III, v. 460-461.

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Felicemente vi si cultiva eziandio l'albero accennato dallo stesso nostro poeta,

La cui fronde ha virtù che il verme pasce,
Ch'in si bell'opra a se medesmo tesse
Onorato sepolcro e morte acerba,
E dai Seri e dagl'Indi il filo addusse
Onde il mondo novel si adorna e veste (1)

Le acque diverse correnti (2), derivanti le più dal fiume Adda vicino, le quali attraversano in varie direzioni questo territorio, vi moltiplicano ed allegrano li erbosi prati di fresca verdura e le spesse rive vi fanno boscose. A questa molta prateria è dovuta l'utile passata autunnale delle mandre dette bergamine, le quali sogliono nelle brevi loro soste lasciarci giù il bel ricordo dei pruriginosi stracchini del viaggio; così denominati appunto perchè si fabricano mentre le vacche viaggiano a stracca dai pascoli montani del bergamasco alle erbe e ai fieni della pianura lodigiana.-- I fossati frequenti e pigri che quì si incontrano, abondavano già negli anni andati di tanti e appetitosi gamberi, che i nostri Arzaghesi erano dai loro circonvicini regalati e morsi piacevolmente co'l sopranome o nomignolo di gamberelli... Ma, vedi fenomeno curioso e gaio! Dacchè

(1) Alamanni, cultiv, lib. 1, v. 629-633.
(2) Queste acque diverse appunto che rigano a rete la Ghiaja d'Adda, la concavità del distretto circoscritto dai due fiumi Adda e Olio, l'acqua che ci cova o sia il terreno acquitrinoso che ritiene a lungo i grandi acquazzoni che troppo spesso ci sopravengono, sono altretanti motivi che rendono credibilissima l'esistenza quivi dell'antico lago Gerudo.

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Incominciò a ronzarci d'intorno la parola superba progresso, mai più quì non si vide un gambero, nè un suo retrogrado figliolo. Conferma ben naturale.
Se a questa terra ben stesse la nobile appellazione antica, che notammo a bel principio, il comprovino le notizie seguenti. Nell'anno 1817 fu quì scoperto un vaso di creta contenente assai monete di rame, di metallo simile all'ottone, e circa duecento pezzi d'argento: la più parte di così fatte monete portava l'effigie e l'epigrafe dell'imperatore Antonino Pio e di Faustina sua moglie: memoria del secolo secondo dell'era nostra, e precisamente dall'anno 138 al 161 dopo Cristo. Nella presente chiesicciuola parochiale, rustica e bassa, che parrebbe quasi un portico ruvido e grezzo da solo pochi anni stato chiuso, dà nell'occhio subito la cuspide o vero arco sopra l'altare maggiore, di un lavoro così bello e sottile, che accenna una ben alta e classica antichità. Tanta finezza e grazia d'arte in una sol particella di un tutto nè pur tirato via di grosso, ma rozzo e a pena imbiancato, ricorda qualche eletta terzina di un trecentista nostro migliore dentro a certi capitoli moderni da colascione.
Ora avanti co' testimoni di casa o dell'età vetusta. Dalla banda meridionale dell'antica cappella a parte che serve oggi alle Confraternita del Ss., surge un tronco scanalato di vecchia colonna di granito nero (ad imitazione dell'avanzo di quell'antica colonna isolata con capitello d'ordine corintio che si inalza a canto della Canonica di Sant'Ambrogio

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in Milano(1), il quale mozzicone in questo Arzago è rimasto fin dai secoli bassi, allorchè il nuovo eletto podestà (o vero sindaco) abbracciava quella colonna,-- simbolo della rettitudine salda --, protestando con tale atto di mai non si voler dilungare nell'esercizio della sua carica. La onde il nostro poeta architetto (2) ben notò nel suo primo Sermone (verso 13-14)

......... alla colonna
Ove giurare il Podestà soléa.

Tale cerimonia continuò insino al secolo XVI.

Dagli anni primi dell'undicesimo secolo ci addita il Giulini una basilica di S. Giorgio in Arzago, e le parole sue stesse sono le seguenti: Il signor dottor Sormani a fatto menzione d'una pérmuta seguita nel 1009 fra Arnolfo (II) arcivescovo e l'officiale custode della basilica di S. Giorgio d'Arzago; la quale serve a rendere sempre più probabile che quel prelato fosse veramente della famiglia che denominavasi d'Arzago.(3)

Argumento dell'antica importanza di questa terra è la lautezza, fino ai giorni nostri pervenuta, della prebenda o rendita ferma del paroco locale, ch'ebbe sempre il titolo altresì di prevosto; -- come eziandio la estensione molto maggiore di edificj attestata

(1) Antich. longob. - milan. Dissert. II, n. 8, t. l. pag.148.
(2) Giuseppe Zanoja, di Omegna al lago d'Orta, Canonico ordinario della Basilica di Sant'Ambrogio in Milano e Secretario della R. Accademia di Belle Arti nella detta città.
(3)Mem. citt. e camp. di Mil., lib. XVI, vol. II pag. 51. 

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visibilmente dal lungo e non interrotto muramento sotterraneo che apparisce nei campi e prati a levante del paese fino alla dolce costa della Ravajola.

Nella Dissert. LXXII § 5, il Muratori reca un diploma di Enrico II fra li Imperatori e III fra i Re, del 1046 (un anno dopo la morte di Ariberto) ove detto è, che Girardo o Gariardo, nepote di esso Ariberto, arcivescovo di Milano, avéa invaso Cortem et Pleben de Arciago, contro il volere, non che senza la permissione, di Landolfo, vescovo di Cremona, da lungo tempo ammalato. Ora il Muratori stesso avéa già dichiarato nella Dissert. XIX, § 8, e ripetuto nella LXXI, §4: " Il nome di Corte significava anticamente, non già semplici poderi, ma ville intere che per lo più contenevano anche un castello." E il castello di fatti anco in oggi si nomina e si distingue la casa che fu già abitazione della famiglia originaria De Capitani d'Arzago, della quale in particolare si dovrà dire a suggello di questa tenuissima monografia.
Chi poi contento fosse alla sola stillata sustanza del diploma importante dell'appassionato imperatore Enrico, ne legga quì appresso il testo letterale secondo la versione vulgare del diligentissimo nostro Giulini.

Narra l'Imperatore (dice egli) in quella pergamena (posseduta dall'Archivio di Cremona) che Ubaldo, vescovo di Cremona, era a lui ricorso, esponendo ch'egli avéa trovata la sua chiesa in un deplorevole stato. Imperciocchè ai tempi


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dell'Imperatore Corrado, Landolfo vescovo, suo predecessore, era stato lungamente infermo, e la sua lunga malattia avéa cagionato alla sua mensa un non leggiero detrimento. Girardo, nipote di Ariberto arcivescovo di Milano, affidato nell'audacia dello zio, -- che regolava a suo piacere tutto il regno d'Italia --, e perciò insuperbito, operava in questi Stati tutto ciò che più gli piaceva, giusto o ingiusto che fosse. Fra le altre cose invase la Corte e Pieve di Arzago, senza la permissione, anzi contro la volontà, del vescovo, oppresso dalla sua lunga e grave infermità....
Questo Girardo, o Gariardo, che cosi lo nomina Ariberto stesso in due disposizioni testamentarie da lui fatte, morì prima dello zio arcivescovo, come si vede nella seconda di quelle disposizioni, e lasciò tre figliuoli, il primogenito de'quali si nominava, come il padre Gariardo......
Segue il diploma, e dice che, essendo finalmente morto Landolfo, vescovo, fu sostituito in suo luogo Ubaldo, il quale, dovendo ricevere la consacrazione dal suo metropolitano, non potè ottenerla in altra guisa, che col confermare a Girardo il possesso della Corte e della Pieve di Arzago. Se bene, poichè fu consacrato, tosto ricorse all'Imperatore Corrado, e gli raccontò com'egli aveva fatta tal concessione non già spontaneamente, ma per non poter fare a meno. Allora quel sovrano, e con lettere, e per mezzo di legati, commandò moltissime volte all'arcivescovo di restituire la Corte e la Pieve;

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al Vescovado di Cremona, ma senza frutto; perocchè Ariberto, -- per istinto del diavolo, a cui avéa sempre servito fin dalla cuna, come era noto a tutti li Italiani e a tutti i Tedeschi --, sprezzando la Regia Ambasciata, non solo avéa sempre ritenuta la Corte e la Pieve occupata, ma di più, per maggiore sprezzo de'sovrani commandi, avéa tolto al Vescovo Cremonese la Pieve di Misiano (ora Misano), con ogni sua pertinenza, la decima del Castello Aganello (ora Agnadello), che apparteneva alla Pieve d'Arzago(1), la decima del luogo di Mauringo (ora Morengo nel Bergamasco), che spettava alla Pieve di Fornovo, e la metà del Castello di Cortegano (ora Cortetano nel cremonese), che era della Badia di S. Lorenzo di Cremona..... 
Finalmente racconta l'Imperatore nel suo privilegio che venne in Italia Corrado suo padre ed, avendo conosciuto che l'arcivescovo, violata la fedeltà a lui giurata, per istigazione del suo nepote Gariardo e con l'ajuto del medesimo, già aspirava ad invadere tutto il Regno, come ad un reo di lesa Maestà e degno del bando imperiale, gli tolse tutte le predette terre e corti e pievi e decime e le restituì al Vescovo. Se bene con poco frutto, perchè, appena Corrado fu partito dall'Italia, che Ariberto, posta in cale la riverenza ed il rispetto dovuto al suo principe, tornò ad occupare ogni cosa.


(1) Vedi in fine il prezioso documento inédito donatomi in copia esattissima dal dotto Arciprete don Paolo Lombardini.

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Quindi è che Enrico, avendo compassione allo stato infelice del Vescovo di Cremona, gli rende quei beni e dichiara che il suo Vescovado li debba godere perpetuamente.

Il Fiamma nel suo Manipolo dei fiori (cap. 137 e 138 in Rerum italicarum collectione tom. XI), parlando di Ariberto o (Eriberto), non lo chiama da Antimiano(1), ma da Arzago oltre l'Adda.... onde potrebbe nascere un sospetto che la famiglia di quel prelato, avendo acquistata la Corte e la Pieve di Arzago, a cui era annesso il titolo di capitanato, lasciasse la prima denominazione, e si chiamasse De Capitani d'Arzago.
Certamente dopo Ariberto non si trova più alcuna memoria del casato D'Antimiano, e all'incontro molte se ne trovano di quello De Capitani d'Arzago oltre l'Adda.(2)


Ora passando a narrare appunto partitamente di questa famiglia principale e di quì originaria, il Giulini stesso ne informa (3) avere i Capitani d'Arzago nell'anno 1211 formato un ponte sull'Adda a Vaprio assai comodo con la grave spesa di tremila e ottocento lire; quindi è che per indennizzarli il Publico (o sia la Republica milanese) si costituì loro debitore di quella somma, che equivaleva quasi duecentomila lire de' giorni nostri; e si obligò a pagar loro l'interesse di due soldi

(1) O Intimiano nel comasco, presso Cantu.
(2) Giulini, Op. cit., lib. XXII, an. 1047, vol. II, pag 331-334.
(3) Idem, Ibid., lib. XLIX, L e LIX, vol. IV, pag. 202,289 e 520. 

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per lira, cioè il dieci per cento, usura tenuissima in que' miseri tempi. Che poscia nell'anno 1225 il Podestà saggiamente commandò che si pagasse a que' signori il capitale; ma ch'essi poi cedessero ogni diritto sopra quel ponte. Che il Consiglio communale dell'anno 1258 dichiarò si pagasse ai Capitani d'Arzago quanto avanzano (cioè, ne vanno creditori) pe'l ponte di Vaprio, ed ogni anno si dessero loro trecento lire di terzoli (1) per la difesa di quel ponte, nè più si lasciassero murare.

La famiglia d'Arzago, indi denominata De Capitani d'Arzago, annovera fra i suoi più illustri il sopramentovato Anorlfo II, arcivescovo di Milano dall'anno 996 al 1019, colui che portò da Costantinopoli a Milano quel serpente di bronzo che vediamo inalzato sopra una colonna del tempio di Sant'Ambrogio; che coronò Ottone III ed Enrico II, avendo fatto, a Concilio provinciale convocato, deporre dal trono Ardoino marchese di Ivréa. E' sepolto nella chiesa di S. Vittore al Corpo di Milano.

ARIBERTO O ERIBERTO Antimiano canturio d'Arzago, figlio di Gherardo e di Birlieda Jugali, succedette immediatamente all'arcivescovo Arnolfo, e ne lo superò di gran lunga in potenza, in prodezza, in amore e gloria della patria. Ne'ventisei anni (1019-1045)


(1)La moneta de' terzoli valeva la metà di quella degli imperiali; prechè de' primi vi volevano venti soldi per fare un fiorino d'oro, e de' secondi ve ne volevano solo dieci -- Giulini, Op. citata. lib. XL, an. 1158, vol. III, pag. 515.

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che sedette arcivescovo inventò i carri falcati(1), terrore del nemico, e il carroccio (2), la cui perdita in campo era vituperio delle italiche genti, agguerrì la milanese milizia e la preparò ai prodigi di valore del secolo successivo: non fu certo un sacerdote mansueto, ma sì un cittadino arditissimo, un commandante intrépido che la sua patria rialzò gloriosa. In breve, la costui lapida sarìa stata più a suo posto in una bella galleria di grandi che meglio meritarono della propria terra, che non nel nostro duomo coi beati celesti (3). Il suo corpo fu sepelito nella chiesa di S. Dionigi (4) a Porta Orientale in Milano, in quel Monastero cui avéa egli edificato (casa Battyany), L'epitafio così principava:


Hic jaceo pulvis , cui quondam claruit Orbis.

E quì riposò per anni 738 sino al 28 di marzo del 1783, quando fu trasferito nel duomo.


(1) I carri falcati, tirati da velocissimi cavalli, portavano cadauno dieci uomini armati di falci - quali fienaje -, e si avventavano addosso alla mischia nemica, dove solcavano quasi remi in acqua. Fiamma, manipulus florum, cap. CLXXXVII.
(2) Il carroccio, istituito nel 1033 da Ariberto, fu abolito nel 1285 dall'altro nostro Arcivescovo, - ma ghibellino -, Ottone Visconti, che vi sostituì il Gonfalone di S. Ambrogio in atto di dare la benedizione.
(3) ................ma nella chiesa Co'santi. Dante, infer., XXII, 14-15
(4) S. Dionigi morto in esiglio nel 367, fu tenuto per immediato antecessore di Ambrogio nell'episcopio milanese.

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Giusta le Antichità longobardico-milanesi(vol. II, pag, 11), in una carta del 1174 è nominato Giovanni d'Arzago abbate Monasterii sancti Ambrosii, ubi sanctus ejus requiescit corpus, sciti intra fossata Mediolani.
L'Argelati nella Biblioteca degli Scrittori milanesi, sotto i numeri CXLVI, CXLVII, CCCCII e MMCXI, ricorda quattro d'Arzago, -- quod est oppidum Mediolanensis ditionis in confiniis, Bergomensibus --: i primi tre del secolo XV, e sono un Nicolao fisico ed astrologo, autore di lettere latine de eruditione in praesagendis morbis; -- uno Stefano antea Praepositus Comensis, inde Generalis Humiliatorum; -- ed un Giovanni di Giacomo De Capitani d'Arzago, medico come il padre, professore di medicina all'università di Pavia, e nel 1469 protomedico in Bergamo, dove publicò un lodato suo Liber differentiarum Conciliatoris; -- il quarto ed ultimo del secolo XVII, ed è Enrico De Capitani d'Arzago, detto altresì di Rivolta figlio di Clemente, questore delle Rendite straordinarie, e di Cornelia Mantella: giureconsulto, professore primario di diritto civile nell'università suddetta sino all'anno 1644, e autore di più scritti perduti e dell'unico superstite: Oratio in laureà Bartholomaei Arissi.
Questo Enrico ex collegio jurisconsultorum (fino dal 1592) si legge fra i dedicanti, nel 1605, una pietra nera con caratteri romani incisi e messi in oro; la quale pietra sta in una cappella del chiesone di S. Francesco in Pavia. Fino nell'impareggiabile Vita di Benvenuto Cellini io m'avvengo alle parole seguenti: Mi venne voglia di cambiar maestro per esser 

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subillato (instigato) da un certo milanese, il quale si domandava Maestro Paolo Arzago (lib. I, cap. III, pag. 24). -- E quì nota bene che quel milanese determina l'Arzago; e dei due Arzaghi lombardi, solo il nostro adduano passato in cognome.
Nell'Italia sacra del cisterciese Ferdinando Ughelli, tom. IV, col. 1114, num. 40, e in una dedica di Antonio Brucioli (1) dei vol. I e V del Savonarola, édito a Venezia per Bernardino di Bindoni milanese, nel 1544, leggo un Girolamo d'Arzago, patrizio milanese, da prima prevosto della Mirandola, appresso vescovo di Nizza e gran limosiniere delle cristianissima Regina di Francia (o sia Caterina de Medici)(2).
L'Ughelli soggiunge d'aver saputo che questo prevosto aveva adornato di colonne il maggior tempio della Mirandola, nel modenese, dall'inscrizione seguente ivi letta da lui stesso:


Hier. Ex Capitaneis de Arzago mediol.
Patrit. Episc Niciae templum hoc in cur.
pene colap. Pilis communivit M. D. XXI.


Della costui morte l'anno preciso si ignora, poichè l'Ughelli così ne lasciò scritto: Vixit Hieronymus ad annum usque 1542 diemque suum extra romanam curia obiit. Il mentovato vol. del Savonarola, dedicato dal Brucioli a Mons. Gironimo Arzago, porta

(1) Il nome di Antonio Brucioli suona bastanza per sua versione di greco in italiano del Nuovo Testamento nel 1547, per un Boccaccio ricorretto nel 1542, per un Petrarca dichiarato ed annotato nel 1548 e per un Plinio il vecchio, tradutto da Cristoforo Landino, rifatto da capo nello stesso anno 1548.
(2) "L'onor del Tosco suo fiorito nido". Alamanni Gir. il cort. l. XII, s. 6s.

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la data dell'anno 1544, come notammo; dunque è mestieri il conchiudere che il 1542 sia stato l'anno della degradazione per pizzicore di eresia, non della morte naturale di esso monsignore.
E questi nove nomi basterebbero per non fare le litanie.


Sola una osservazione mi farò debito di quì porre a compimento. La più parte dei beni stabili arzaghesi, già in addietro posseduti dalla famiglia De Capitani d'Arzago, è -- mediante i Buttinoni trevigliesi -- in oggi tenuta e goduta dal vicino Ospitale di Treviglio; e i poveri Arzaghesi, privi di luogo pio e cultivatori di quelle stesse tenute, non si hanno un diritto al mondo di mandare ammalati a quell'Ospitale. Compenso troppo magro, ridicolo e stolto è quello del pane bianco e dei ceci rossi che esso Ospitale fa dispensare in Arzago alla festa di S. Lorenzo (il 10 d'agosto). Provedesse il Cielo un rimedio efficace e sapiente alla fortuna avversa di questi cristianelli!...... Giustizia -- una suprema volta -- ai poveri infermi fra questo popoletto che non oltrepassa il milliajo!

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