Arzaghese e Salesiano Doc
Dal "Bollettino Salesiano", riportiamo un breve profilo del nostro concittadino
Giuseppe Maffioletti morto presso l’istituto salesiano S. Bernardino di Chiari (BS) il 7 dicembre 2003.
Il signor Giuseppe fu un salesiano "comune" che non ha mai preteso di fare cose eccezionali.
E proprio in questo consiste la sua originalità. Ciò che ha fatto come religioso era ciò c
he doveva fare secondo la "Regola" che aveva scelto di professare, già grande, quella di Don Bosco.
A Maroggia, in Svizzera dimorò, per 33 anni... "L'età di Nostro Signore", aveva detto
a qualche amico, con un certo orgoglio. Quando ormai gli acciacchi gli fecero comprendere che era giunta l'ora
della riflessione e della preghiera per percorrere in pace l'ultimo tratto del cammino, ebbe il coraggio di dare
una sterzata brusca alla sua vita: abbandonò la Svizzera, gli amici, i volti noti, i luoghi che percorreva a
memoria, per andare a vivere in un'altra ispettoria, tra confratelli mai conosciuti. Unica consolazione: il san
Bernardino di Chiari era più vicino che non Maroggia ai suoi fratelli... Sapeva che sarebbe stata l'ultima tappa.
Tuttavia non si arrese all'inerzia, ma volle in qualche modo rendersi utile, e gli fu affidata la cura della sacrestia.
Le giornate erano ormai scandite dalla preghiera e dalla precisione amorevole con cui preparava e seguiva ogni servizio
liturgico. Si era consegnato a Dio. Voleva ricordarsene giorno e notte, tant'è che anche la sua cameretta appariva a eventuali
visitatori, più simile a una cappella con quel grande Cristo steso sul letto, la statuetta del Sacro Cuore sul
comodino, santini sparsi qua e là... Finchè potè distribuì la posta ai confratelli e si
dedicò alla pulizia di qualche ambiente destinato ai ragazzi... "Signor Giuseppe, lasci stare, tanto dopo
un minuto che quei diavoletti ci sono, tutto torna come e peggio di prima!". Rispondeva sorridendo: "Se i
ragazzi trovano in ordine, lasciano in ordine". In poco più di un anno s'era guadagnato la stima di tutti,
tant'è che ci fu ressa per poter visitare la sua salma. La gente vuole bene a chi la tratta bene, è gentile con chi è
gentile, è riconoscente con chi l'ha servita. Anche il cielo sembrò rispettare quell'uomo servizievole e pio:
alla vigilia dell'immacolata, ricoverato dopo una nottata difficile per controlli, e constatato che non c'erano
particolari urgenze, d'altronde anche lui diceva di sentirsi meglio, fu lasciato tranquillo. Lui si addormentò
e non si risvegliò più.
LE RADICI
Arzago d'Adda è un comune del bergamasco che oggi conta poco più di 2000 abitanti. Alla nascita di Giuseppe
(1922) ne faceva la metà e forse meno. Un'infanzia da pioniere, visto che doveva percorrere 10 chilometri al
giorno per frequentare, a Treviglio, la V elementare, avendo in tasca 20 centesimi per il pranzo. (Lui però
ne spendeva solo 15, gli altri 5 andavano per le statuine del presepio!) A 13 anni - sempre a piedi, ma stavolta
con il rosario in mano - frequenta a Casirate la sartoria Persegoni. A 19 anni viene arruolato nel 7&Deg;
Reggimento di Fanteria e mandato a combattere in Sicilia. Durante lo sbarco degli alleati, si salva
nascondendosi prima fra i morti, poi dietro ai covoni di frumento appena mietuto. Fatto quindi prigioniero,
viene imbarcato per essere condotto in America, ma la nave fu deviata in Algeria. Non se ne sa più
nulla e al paese natale lo includono nella lista dei dispersi. Solo una cartolina postale datata settembre
1944 lo dimostra vivo e lo fa cassare da quella lista. è vivo sulla parola, anzi sullo scritto, perchè
in realtà non può tornare a casa. Viene, invece, internato in un campo di concentramento in cui
le sofferenze fisiche e morali, lo stress da lavoro, il trattamento disumano lo segnarono per tutta la vita.
S'ammalò, infatti, fino ad arrivare vicino a morire. Lo salvarono più l'affetto dei suoi
fratelli che le cure del medico.
SALESIANO
La prigionia gli fece cambiare anche orientamento di vita. Nel 1947 incontrò don Mario Bassi, al
quale confidò di aver maturato l'idea di diventare sacerdote o magari religioso laico, se gli
studi - ormai era venticinquenne - si fossero rivelati troppo gravosi. Lo accolse Ivrea, perchè
aveva l'intenzione di partire missionario, ma in missione non ci andò mai. Rimase missionario
nell'anima, e durante tutta la vita sostenne in ogni modo i confratelli in prima linea. Giuseppe provò,
dunque, a frequentare il Ginnasio ma, fatto il quinto, rinunciò a continuare e chiese di andare in
noviziato come aspirante coadiutore. Sopportò bene i compagni che avevano la metà dei suoi anni.
Tutto quello che realizzò da allora, uscì da un cuore salesiano, in spirito di serena obbedienza.
E l'obbedienza non gli chiese di essere quel che era (un sarto) ma di imparare a essere quel che gli chiedeva.
Fu perciò portinaio, infermiere, provveditore, economo... Gli anni più belli del suo apostolato
salesiano li passò a Maroggia, bel paese del Canton Ticino: paesaggio magnifico e vista incantevole sul
lago di Lugano. Vi giunse quando il collegio e la scuola erano sulla cresta dell'onda... Ma proprio allora
cominciò il declino dei convitti. Quello di Maroggia subì la lenta decadenza di quasi tutti gli
altri. Fino alla chiusura. Il signor Giuseppe ne seguì passo passo l'iter in discesa, soffrendo di
non poterne arrestare la decadenza.
GENTILE MA MAI SERVILE
Faceva le cose con grande precisione, agiva con somma onestà, trattava le persone con garbo e finezza.
Ma non era uno a cui si poteva fare di tutto e da cui si poteva ottenere di tutto. Sapeva bene quel che voleva.
"Era coriaceo nelle sue convinzioni: non riuscivi a fargli cambiare parere nemmeno a martellate, se
non gli dimostravi a fil di logica che aveva torto", dice uno che gli è vissuto accanto. "Per quanto
riguarda la regola, era di una fedeltà quasi maniacale", continua lo stesso. Quando nel corso di
un'assemblea comunitaria sentiva fare delle proposte che potevano essere interpretate non perfettamente in
linea con la regola, non trovava di meglio che alzarsi e uscire, rammaricato, perchè, diceva: "la
Regola è sacra, non si tocca; solo il sospetto che potrebbe essere intaccata, ci mette già fuori!".
Raccolto, riservato, ma sempre disponibile, non andava in giro a raccontare i suoi mali, che pure lo tormentavano
dai tempi del campo di concentramento, ma se li teneva cercando di nasconderli il più possibile per non
recare fastidi a nessuno. I confratelli lo sapevano, ma rispettavano questa sua volontà di nascondimento e
lo stimavano sempre di più. Non poteva assumere dolci nè bere vino... il che per un bergamasco
doc, era come una condanna, ma non rifiutava una bottiglia di quel buono per far bere i confratelli alla sua salute.