Resti antica pieve


Arzago d'Adda, reperti dell'antica pieve venuti alla luce negli scavi del 1985.(Sopraintendenza Archeologica Milano).



Documenti


Vengono riportati alcuni documenti storici che riguardano Arzago.




Testamento di Taido, anno 774


Questo è il documento più antico sulla storia di Arzago.

Testamento di Taido cittadino di Bergamo e longobardo di nazionaltà.

Notaio: Pietro, di località non nominata.

Atto originale nella Civica Biblioteca di bergamo


Regnando i nostri signori Desiderio e Aldechi, sovrani e uomini eccellentissimi, negli anni del loro regno diciottesimo e quindicesimo, nel mese di maggio, nella diciottesima indizione. Alla basilica del beatissimo S. Alessandro in questa città di Bergamo, dove riposa il suo santo corpo, ma anche a quella del beatissimo S. Pietro apostolo e Martire di Cristo nella corte di S. Alessandro, alla chiesa della beatissima Maria sempre Vergine e Madre di Dio e di S. Vincenzo, chiese di Bergamo.
Taido, gasindo(1) del re suo signore, figlio di Teuderolfo di buona memoria, cittadino di Bergamo, afferma: mentre il corso dell'umana vita volge al termine in stato di salute e si riflette in piena ragione ed integrità mentale, l'uomo deve provvidamente considerare l'occupazione della vita presente, pensare a ciò che sarà e rimarrà per sempre.

Perciò io Taido predetto, pensando alla varietà delle disgrazie che possono sopravvenire e ai casi del venir meno dell'umana vita, ho stabilito fermamente di porre degli ordinamenti nelle mie proprietà, per poter trovare nel tempo a venire qualche rimedio, per cui con la presente scrittura di mie disposizioni ho prestabilito di ripartire dei miei averi tra i luoghi santi e le venerabili istituzioni, sia fra i ministri che fra i poveri di Cristo, poichè, ben ripartendo i beni terreni, possa ottenere quella letizia che rimarrà per sempre. Prima di tutto voglio e stabilisco che le soprascritte sante basiliche di S. Alessandro e del Beato Pietro e la chiesa di S. Maria e di S. Vincenzo possiedano la corte padronale con terre coltivate di mia potestà che si sa che mi appartiene nel fondo di Bonate, insieme con le case dei massari e degli aldi in tutto pertinenti alla detta corte; la soprascritta corte insieme con le dimore e i singoli edifici e contemporaneamente le case d'abitazione dei soprascritti massari e aldi e tutte le loro costruzioni con corti, orti, aie, recinzioni, campi, prati, vigne, selve, castagneti, cerreti, rovereti, annessi fluviali, pascoli, e per uso, con campi di cerfoglio, saliceti, argini e annessi, beni mobili ed immobili vari e bestiame minuto; tutto e in ogni cosa, come ho detto, pertinente in tutto alla soprascritta corte e ai massari e agli aldi, tanto per la mia parte quanto per quella di mio fratello Rodoaldo. Onde e per ogni cosa soprascritta voglio che mio fratello Teodaldo abbia nella sua divisione due corti della mia e della sua parte nei fondi di Cocciolina e Boccaria, nella giurisdizione di Sirmione, unitamente ai massari e agli aldi e tutti i territori pertinenti in tutto alle corti medesime. Chè se poi mio fratello Teodoaldo o i suoi eredi vorranno differenziarsi in qualcosa da questa suddivisione, voglio e stabilisco che di queste corti soprascritte e di tutto ciò che ad esse si riferisce abbiano la mia parte completa le soprascritte basiliche, spartendo fra loro equamente per metà ai loro custodi, in modo che quindi della mia parte una metà la ricevano le basiliche di S. Alessandro e di S. Pietro e l'altra metà la ricevano le chiese di S. Maria e di S. Vincenzo, per Messe e candele per me e per aiuto della mia anima.
E propriamente per i massari della soprascritta corte riguardante Bonate stabilisco quindi che abbia una masseria in Rodi condotta dal massaro Gundorat e un'altra condotta dal massaro Vitale, unitamente con ogni territorio pertinente alle soprascritte case, in tutto, quanto in questo luogo si sa che possiedo tanto di massarizio quanto di padronale, tutto ciò che si sa che è pertinente alla mia spettanza e a quella di mio fratello nel fondo di Rodi, voglio che tutto questo lo possieda la basilica del beatissimo S. Giuliano martire di Cristo in Bonate presso la soprascritta casa. In tal modo appunto, affinchè tutte queste cose sopra elencate, come si leggono nel testo soprascritto, le rivendichino e le difendano come proprie immediatamente dal giorno della mia morte le suddette sante basiliche ed i loro custodi, per tutto quello che perciò vorranno fare o giudicare ed altro ancora, come ho precedentemente stabilito al riguardo, le basiliche abbiano su tutto libera potestà per nostra totale e completa liberalità. Voglio che la basilica della beatissima S. Grata presso la città di Bergamo, dove riposa il corpo della stessa, possieda, per Messe e candele per me, immediatamente dal giorno della mia morte la mia parte di masserie, una in Casco, l'altra in Aldeto, nella selva Bresciana, in quel luogo detto..., quella in Casco governata dai massari Orso e Sabatiano e l'altra governata dal massaro Aroaldo, unitamente ad ogni terreno e adiacenza pertinente alle medesime due case, per tutta la mia parte. La chiesa del beatissimo sacerdote e confessore di Cristo S. Ambrogio in Zanica voglio che possieda immediatamente dal giorno della mia morte la masseria di mia spettanza nel fondo di Curnasco, per la mia parte, governata dal massaro Viatore, unitamente con ogni terreno e adiacenza pertinente alla soprascritta casa, in totale come si sa essere di mia spettanza, per Messe e candele per me.


La basilica di Maria sempre Vergine e Madre di Dio in Casirate voglio che abbia immediatamente dal giorno della mia morte, per Messe e candele per me, la masseria di mia spettanza che si sa che possiedo nel fondo di Villa presso Arzago, governata alla casa medesima.


La chiesa del beatissimo diacono e martire di Cristo S. Lorenzo in Arzago voglio che possieda una masseria, governata dai massari Lupigi e Gaidoaldo, insieme con tutto ciò che attiene alla casa medesima.


La basilica del beatissimo S. Pietro Apostolo e martire di Cristo in Bergia(2) voglio che abbia la mia parte della casa padronale che si sa che possiedo in Bergia e Blancanuco(3) fra la selva Vergaria e il fiume Terriola(4), con tanto di prati, campi e boschi, per tutta completa la mia parte, immediatamente dal giorno della mia morte, per Messe e candele per me,


e la basilica del beatissimo confessore e sacerdote S...... presso la città di Verona, dove riposa il suo santo corpo, voglio che possieda la mia parte della casa padronale entro i confini di Verona, nel luogo detto Rovereta, completamente, quindi, per la mia parte, per Messe e candele per me e aiuto per la mia anima. La basilica del beatissimo S. Michele Arcangelo in Altedo voglio che possieda immediatamente dal giorno della mia morte, per Messe e candele per me, cinque iugeri di terra comune della mia corte padronale del fondo di Altedo, correttamente misurata. La chiesa del beatissimo S. Vittore martire di Cristo in Terno voglio che possieda la masseria di mia spettanza nel fondo di Mapello, per la mia parte completa, casa questa che si sa che governa il massaro Lupoaldo, unitamente ad ogni terreno e adiacenza spettante alla medesima casa, per Messe e candele per me. E tu in verità, o Lamperga, mia amata sposa, se per decreto divino sarai vissuta più a lungo di me e avrai custodito il mio letto, voglio che rimanga padrona di tutti i miei averi completamente, in qualunque luogo ne avrò lasciati dopo la mia morte, in vari luoghi e città, a titolo di usufrutto per il resto della tua vita, e allo stesso titolo voglio che tu abbia potere di giudicare e di donare per aiuto della mia anima e della tua; per questo dovrai ristorare, mentre vivrai, dieci poveri in nome di Cristo, il venerdi di ogni settimana con pane, vino e companatico a sufficienza; ferme restando quelle concessioni che ho fatto ai luoghi sacri sopracitati immediatamente dopo la mia morte.
Quanto poi ai miei servi e alle mie ancelle, alli maschi e femmine collocati nei vari luoghi, riguardo a tutti i miei possedimenti, tanto nella mia casa quanto in quelle dei massari e degli aldi, per tutto quanto avrò lasciato dopo la mia morte o dopo quella della mia sposa Lamperga, nel caso che ella mi sia sopravvissuta e abbia custodito il mio letto, voglio e stabilisco che vengano tutti portati di fronte all'altare del beatissimo martire di Cristo S. Alessandro di Bergamo, dove riposa il suo santo corpo, per mano del vescovo della santa chiesa di Bergamo, quello attuale o quello che vi sarà allora, e qui in quel giorno tutti rimangano liberi e sciolti come è stato stabilito dai capi di questa popolazione cattolica dei Longobardi nel testo dell'editto. Quanto a te, in verità, mi amato fratello Teodoaldo, voglio che abbia la mia parte di casa padronale di nostra spettanza che si sa che possediamo nel fondo di Pontienengo, nella giurisdizione di Verona; quindi voglio che tu e i tuoi figli possediate completamente la mia parte, se sarete vissuti più a lungo di me, o anche della mia sposa Lamperga, nel caso che ella mi sia sopravvissuta e abbia custodito il mio letto; fatta salva la clausola dei famigli che cioè tutti si debbano liberare, come ho precedentemente stabilito. Tutti quanti poi i miei averi restanti, nei vari luoghi e città, sia case padronali che masserizie e aldionali, in qualsiasi luogo ne abbia lasciate dopo la mia morte o dopo quella della mia sposa Lamperga, nel caso che ella mi sia sopravvissuta ed abbia custodito il mio letto, tutte quelle che avrò lasciato non assegnate, voglio che tutte completamente siano vendute dal vescovo della santa chiesa di Bergamo, quello attuale o quello che vi sarà allora, e con il prezzo che da ciò sarà ottenuto secondo i precetti divini. La basilica del beatissimo S. Michele Arcangelo nella città di Pavia voglio che abbia, per la mia anima e candele per me, immediatamente dal giorno della mia morte, il mio possedimento di terreno massarizio sul fiume Po, nel luogo detto Gravanate, con tutto completamente ciò che riguarda la mia parte. La basilica del beatissimo S. Michele Arcangelo fuori le mura della città di Bergamo voglio che abbia, immediatamente dal giorno della mia morte, per Messe e candele per me, la mia parte completa della terra che si sa che possiedo nel fondo di Vaprio, con campi, prati e boschi ed ogni cosa perciò pertinente ai miei possessi.

Finalmente io soprascritto Taido conservo in mia proprietà tutto ciò, e in ogni cosa completamente tutto quanto possiedo finchè vivrò, con facoltà a titolo usufruttuario di vendere, donare, cambiare, ordinare e assegnare ciò che vorrò e come vorrò e ciò che mi avrà consigliato il mio intelletto; per questo infatti tutto ciò che non avrà fatto o donato o assegnato, deve rimanere cosi come sopra è scritto. Quanto a ciò che è sopra incluso, che avrò lasciato non stabilito e che dovrà essere venduto dal vescovo della santa chiesa di Bergamo, voglio che perciò il medesimo vescovo detragga da questo prezzo cinquanta soldi aurei per la sua fatica; poi del ricavato lo distribuisca come stimerà più opportuno secendo i precetti divini. Quanto poi alle mie proprietà: mobili, cioè la mia dotazione, oro e argento, come vesti e cavalli, e tutto ciò che lascerò dopo la mia morte voglio che debba essere tutto distribuito ed elargito dal soprascritto vescovo ai sacerdoti e ai poveri di Cristo per aiuto della mia anima. Inoltre la corte padronale con terreni lavorati di mia spettanza che si sa che possiedo in Bergia e le case massarizie e aldionali nel territorio della val Cavallina su per la Valcamonica, completamente per la mia parte in qualunque posto si troveranno dopo la mia morte nei confini della detta valle Cavallina e oltre, voglio che tutte immediatamente dal giorno della mia morte debbano essere vendute dal vescovo della chiesa di Bergamo e questo prezzo appunto venga distribuito ed erogato ai sacerdoti e ai poveri di Cristo.
Ho chiesto al notaio Petrone di scrivere questo foglio di ordinamenti e disposizioni.
Fatto in Bergamo.
Io Taido, gasindo del re mio signore, ho sottoscritto di mia propria mano questo foglio di ordinamenti e disposizioni fatte o dettate da me stesso.
Segno di mano di Radone, figlio di Radoaldo di Corte di buona memoria, testimone.
Segno di mano di Potone, figlio del fu Lupone Ortiolo, testimone.
Andrea, suddiacono in nome di Dio della santa chiesa di Pavia, richiesto da Taido, ha sottoscritto come testimone questi ordinamenti e disposizioni.
Alperto, richiesto da Taido, essendo testimone, ho sottoscritto questo foglio di ordinamenti e disposizioni.
Io, Baido, richiesto da Taido, essendo testimone, ho sottoscritto questo foglio di ordinamenti e disposizioni.
Io, Taido, richiesto da Taido, essendo testimone, ho sottoscritto questo foglio di ordinamenti e disposizioni.
Io, Radperto, richiesto da Taido, essendo testimone, ho sottoscritto questo foglio di ordinamenti e disposizioni.
Io sopracitato Petrone notaio, estensore di questo foglio di ordinamenti e disposizioni, ho fatto e terminato.


(1) Vassallo.
(2) Ora Cascine S. Pietro, distano circa 3 km da Arzago.
(3) Località scomparsa.
(4) Per risalire a questo fiume ci siamo avvalsi della collaborazione del Sig. Tarcisio Merisi di Casirate d'Adda per la sua provata conoscenza delle rogge locali. Tale conoscenza deriva dalla sua passata attività, cioè persona che controllava le rogge di irrigazione su mandato della comunità contadina locale.
Si può ipotizzare che questo fiume sia stato un emissario del Fiume Adda.
Fiume, roggia, questo e forse ciò che rimane.
Oggi forse a ricordare il suo passato resta la roggia Ceriola.
Sicuramente il suo alveo ha subito modifiche, ora esiste una roggia con questo nome che è un emissario della roggia Vailata. Quest'ultima è un emissario del Fiume Adda ed esce dalle "bocche di S. Anna" localizzate tra Fara d'Adda e Canonica. Invece la "bocca" di separazione dalla quale esce la roggia Ceriola si trova ad ovest della zona PIP di Treviglio.
Qui tramite una doppia separazione si diramano sia la roggia Ceriola che la roggia Casirana. La prima scorre per un lungo tratto affiancata alla roggia Vailata a Nord di Casirate, quindi piega a sud passando al fianco della Cascina Le Ceriole proseguendo poi verso il territorio arzaghese sopra la costa. La seconda scorre alla periferia ovest di Casirate, quindi passa per Arzago affluendo poi nella Roggia Cremasca a sud di Arzago.




I tre documenti che seguono sono tratti dal volume "Un paese una storia", Misano Di Gera D'Adda.


In sintesi la storia di questi documenti.


Il tutto iniziò nell'anno 1018 con l'elezione di Ariberto ad arivescovo di Milano. L'anno sucessivo il Vescovo Landonfo riceve in dono dal conte di Bergamo Arduino I e dalla moglie Wilia le Pievi di Arzago, Fornovo, Misano e promissioni sulla cappella in località Brignano. Nel 1030 avviene l'occupazione di Gairardo della Corte e Pieve di Arzago.

Dopo la morte di Landolfo viene eletto Vescovo Ubaldo 1031.

Dal volume sopracitato a pagina 86 troviamo.

"Intanto il vescovo cremonese Ubaldo era impegnato nella sua città a tenere testa agli oppositori nonostante si facesse forte di due diplomi imperiali, con i quali Corrado II confermava piena autorità al vescovo. Ma non potendo più governare in città in quanto i cittadini cremonesi gli rifiutavano l'obbedienza, Ubaldo spostò la sua azione difensiva nel territorio diocesano cercando di recuperare tutti i beni sottratti.
Come prima azione colpì i traditori che appoggiavano il disegno espanzionistico di Ariberto e, chiese nuovamente all'arcivescovo milanese la restituzione della corte di Arzago, Misano e di tutto quello che aveva usurpato suo nipote Gariardo.
Uno di questi era Sigefredo da Soresina, uno dei più autorevoli vassalli del vescovo di Cremona che, grazie alle concessioni avute da Landolfo era diventato il feudatario di Misano.

.... Nel 1036 (8 novembre) Arduino II riceve dal Vescovo Ubaldo i possedimenti di Sigefredo da Soresina. Con questa donazione la famiglia Gisalbertina ritorna in possesso dei beni a sè appartenuti e che erano stati donati al vescovo Landolfo nell'anno 1019. Le località elencate nel documento sono però di gran lunga maggiori di quelle donate da Arduino e Wilia. ....... Questo atto era puramente formale in quanto perdurava l'occupazione di Gariardo. Il segnale lanciato dal vescovo cremonese al Conte Arduino era di riconquistare a favore del presule le terre occupate da Gariardo che erano parti costitutive del beneficio ceduto dal vescovo......."

Nota: la diversità sulla data del documento del 1037 è data dalla numerazione bizantina che predominava in Lombardia.




CODEX DIPLOMATICUS CREMONAE



Documento num. 1


Refutazione fatta a Landulfo, vescovo di Cremona, dai coniugi conte Arduino e Wilia, delle decime nelle pievi di Fornovo, Arzago e Misano, e promissioni sulla cappella nella località di Brignano.

1019, 14 luglio, Indizione II. Apografo dello stesso secolo.

Nel nome del Signore Dio e del Salvatore nostro Gesù Cristo. Enrico per grazia di Dio imperatore augusto nell'anno sesto del suo impero, Dio propiziante, quattordicesimo giorno del mese di luglio, indizione seconda.

A te signor Landulfo vescovo della santa chiesa di Cremona e ai tuoi successori il conte Arduino figlio di Giselberto conte palatino e Wilia figlia del conte Rodolfo che professiamo entrambi di vivere sin dalla nostra nascita secondo la legge dei Longobardi, a me consenziente il coniuge e il mio procuratore che poi appongono la loro sottoscrizione, in conformità alla nostra legge, insieme al fatto che ne sia al corrente il conte di Bergamo Lanfranco, alla presenza del quale e dei testimoni io stessa Wilia, in piena consapevolezza, professo e dichiaro che non subisco violenza nei riguardi di nessun uomo, e tanto meno da mio marito, ma solo di mia sicura e del tutto spontanea volontà; diciamo quanto segue davanti ai presenti. Promettiamo e ci impegnamo insieme ai nostri eredi e in rappresentanza degli eredi che verranno, che da ora non abbiamo alcuna licenza né potere, nessun diritto, ne intenzione, né occasione alcuna per fare alcuna sottrazione o diminuzione sulle decime che nominativamente spettano al predetto episcopato nelle pievi di Fornovo, Arzago e Misano; alla pieve di Fornovo appartengono le decime di Brignano con tutti i villaggi che gli sono vicini, che sono Barcia, Colonasca, Grumo, Villa Roncalia, Celle, Aviano, Currullo, Selva Minore, Selva de Gaudenzi... Amisano, Cambronio; invece per Arzago e per Misano a esse pieve appartengono Aziniate, Guti, Campisico, Caselle, Casale, Farinate, Persate e Vailate, Zibido, con tutte le adiacenze e i loro territori che insieme spettano al predetto episcopato.
Noi coniugi e i nostri eredi e in rappresentanza degli eredi anche i nostri discendenti diretti che verranno, come abbiamo detto sopra, non abbiamo alcuna licenza né potere per fare alcuna sottrazione o diminuzione. Inoltre noi conte Arduino e Wilia, coniugi, e i nostri eredi o i nostri discendenti diretti futuri promettiamo, e in questa promessa ci obblighiamo, che non abbiamo alcuna licenza di ordinare i presbiteri nella cappella che è edificata dentro il castello chiamato Brignano se a te sigor vescovo Landulfo o ai tuoi successori che ci saranno in quel tempo non avranno prestato giuramento di fedeltà e non avranno rispettato il capitolo dell'arcipresbitero dela sopraddetta pieve Fornovo e il tuo capitolo e dei tuoi successori. Inoltre se i presbiteri che sono ordinati nella medesima cappella si saranno sottratti da tutte quelle cose che abbiamo nominato sopra o dalle altre infrascritte obbedienze e ciò verrà a conoscenza tua o dei tuoi successori, se entro 30 giorni non saranno venuti una giustificazione, li cacceremo dalla medesima cappella e ne ordineremo altri che adempiano e osservino ciò. Inoltre non permetteremo che nella medesima cappella sia costruito un battistero in altro caso eccetto che se noi coniugi che quattro figli o i nostri discendenti diretti avremo in tempo pasquale nel soprascritto castello, e eccetto che se non avremo alloggiato in tempo pasquale nel medesimo luogo con i nostri funzionari che hanno due bambini, in altro caso permetteremo che sia costruito un battistero nella medesima cappella ad eccezione del soccorso in caso di morte improvisa. E tutto in modo che, l'olio sacro destinato a santificare l'acqua con cui devono essere battezzati i bambini, noi infrascritti coniugi e i nostri eredi o i nostri discendenti diretti e i nostri funzionari in quel tempo, lo ritiriamo alla sopraddetta pieve di Fornovo, dalla quale ci deve esser dato. Perciò se noi conte Arduino e Wilia o i nostri eredi o qualche nostro discendente diretto un giorno o in qualche tempo avremo fatto sottrazione o diminuzione sulle infrascritte decime o se nella predetta cappella avremo ordinato presbiteri in altro modo, eccetto come sopra si legge, o se in altro modo nella stessa cappella permetteremo che sia costruito un battistreo eccetto come sopra scritto, e non avremo rispettato tutte quelle cose che si leggono sopra, allora noi infrascritti coniugi e nostri eredi o qualsivoglia discendente che avrà ritenuto di agire contro questa nostra promissione disponiamo a te signor Landulfo e ai tuo successori a quel tempo in cui ciò sarà avvenuto con libbre 50 d'argento, con questo procedimento tuttavia la controversia sarà sorta tra qualche vescovo del predetto episcopato e noi coniugi Arduino e Wilia o i nostri eredi o i nostri discendenti diretti su queste cose che sopra abbiamo promesso e obbligato, che noi sia permesso di purificare attraverso il giuramento di 12 uomini liberi e se in tale modo noi non potremo purificarci allora adempiremo la soprascritta riconciliazione a te signor vescovo Landulfo e ai tuoi successori che ci saranno stati a quel tempo. E in quel tenore che sopra si legge noi conte Arduino e Wilia, coniugi, riceviamo poi da te sopracitato signor vescovo Landulfo a titolo di compensazione due guanti(1), perché questa nostra promessa rimanga in ogni tempo ferma e stabile e in perpetuo immutata.

Io Arduino conte palatio ho sottoscritto le cose da me fatte.

Segno †††† di mano di Beringerio, di Zeno, di Leone e di Andrea, testi.

Io Arnaldo notaio del sacro palazzo ho scritto e dopo averlo consegnato l'ho completato e dato.
Il dono di "due guanti" dati dal destinatario dell'atto a chi lo aveva sottoscritto, era, secondo usanz longobarda, la testimonianza che il destinatario accettava quanto era stato scritto nel documento a lui indirizzato.


ATTI DI CREMONA



Documento num. 2


Ubaldo, vescovo di Cremona, al conte Arduino, figlio del , conte Lanfranco, e ai suoi figli e nipoti concede le terre e i diritti di stabilirne il censo, nelle località di Misano, Bòzzolo, S. Giacomo, S. Faustino, Oscasale, Crotta, Zanengo, Montecollere, Furmate, Arzago, Casirate, Vidalengo, determinando le condizioni di vassallaggio di Arduino.

Genivolta l037, 8 novembre

55.5 X 33.5 cm

CDL. 68. N°76 (regest.).

(SN) Nel nome di Cristo. Fu concordato e anche convenuto tra il signor Ubaldo, vescovo della santa chiesa di Cremona, nonché anche tra il signor conte Arduino, figlio di Lanfranco di buona memoria, e anch'egli conte, e lmelda contessa, figlia del fu Rainerio, coniugi, essendo lì presente personalmente il conte Arduino e col pieno consenso di sua moglie, che in nome di Dio debbano dare, come anche presentemente ha dato lo stesso signor Ubaldo loro vescovo ai coniugi conte Arduino e lmelda e ai loro figli o nipoti fino alla fine dei loro giorni in pagamento di un censo di affitto a titolo libellario tutti i castelli, le case, le cappelle e le fattorie, distretti e telonèi o decime di diritto dello stesso vescovo, che risultano esistere nelle località e nei fondi di Misano, Bòzzolo, Santo Giacomo e Santo Faustino, Oscasale, Crotta, Zanengo, Montecollere, Farinate, Arzago, Casirate, Vidalengo o su altre singole località, nominativamente gli stessi castelli, case, fattorie, cappelle, decime, distretti o telonèi e tutte le cose, quante e quali che siano che Siffredo, figlio del fu Olrico della località di Soncino, ha tenuto a titolo di beneficio da parte dello stesso vescovo, tutto e da tutto quanto è pertinente in modo totale allo stesso beneficio, come si legge sopra, col patto che da questo momento gli stessi coniugi e i loro figli o nipoti fino alla fine dei loro giorni, abbiano e tengano in possesso, come si legge sopra, gli stessi castelli, case e cappelle e tutte le cose da parte dello stesso episcopio secondo la norma, come più sotto si legge. E se il conte Arduino avrà avuto due figli maschi, uno dei figli - quello che lui deciderà - deve restare in vassallaggio al già detto episcopio, e per sempre essi abbiano a titolo di beneficio - dopo il decesso di ambedue i coniugi - queste case, i castelli, le cappelle e tutto ciò di cui si è scritto precedentemente. D'altra parte se Arduino non avrà tutti figli maschi, se non quell'unico figlio già detto, egli dovrà giurare fedeltà al vescovo che pro tempore sarà in carica nell'episcopio, sempre salva la fedeltà al re che ci sarà in quel periodo di tempo. E se non sarà in servizio come uomo d'armi del re, resti in vassallaggio del vescovo in carica pro tempore e similmente goda del beneficio stesso.
Dopo la sua morte, se degli stessi figli del conte Arduino resteranno dei figli, nel caso saranno stati due, uno degli stessi debba rimanere in vassallatico al vescovo, che sarà stato ordinato nel medesimo episcopio. Se di più non ne avranno avuti, se non uno solo, deve giurare fedeltà allo stesso vescovo conservando intatta la fedeltà nei confronti dell'augusto sovrano, che ci sarà stato in quel tempo; e se non sarà stato un milite del re, rimanga in vassallatico dello stesso episcopio, abbiano e tengano in possesso per gli stessi castelli, case, cappelle e tutte le altre cose come si legge sopra, e facciano in seguito in ogni tempo, qualunque cosa ritengano opportuno, senza nessuna opposizione da parte del signor vescovo Ubaldo e dei suoi successori o di parte dello stesso episcopio. Con questo impegno però per gli stessi coniugi o i loro figli o nipoti che devono pagare ogni singolo anno per la festa di san Martino, un mese prima o uno dopo della predetta festa dodici denari milanesi buoni d'argento consegnando lo stesso affitto nella città di Cremona, alla chiesa di Santa Maria Vergine, che è edificata dentro le mura della medesima città, gli stessi coniugi in persona o i loro figli o nipoti o un loro messo. Poiché se si giungerà al punto che lo stesso vescovo Ubaldo e i suoi successori ritirassero il loro impegno nei riguardi dei già detti castelli, case, cappelle e tutte le altre cose, come si legge sopra, e facessero opposizione agli stessi coniugi e ai loro figli o nipoti, che non volessero dare a loro in beneficio, allora lo stesso signor vescovo Ubaldo o i suoi successori sono obbligati a pagare agli stessi coniugi e ai loro figli o nipoti a titolo di sanzione 1200 libbre d'argento e una volta subìta la pena questo stesso libello rimanga in loro potere: E se gli stessi coniugi e i loro figli o nipoti non avranno adempito a tutte quelle cose, come sopra si legge, saranno obbligati a pagare al medesimo vescovo Ubaldo e ai suoi successori come pena similmente 1200 libbre d'argento e questo stesso libello diventi privo di valore e vuoto. E ciò intercorse tra loro, che se lo stesso signor vescovo Ubaldo ed i suoi successori cercassero di infrangere lo stesso libello il conte Arduino in persona o i suoi figli o nipoti devono far giurare un uomo libero, che abbia questo compito, come si legge sopra, e in seguito rimanga in suo potere lo stesso libello. Da cui due libelli del medesimo tenore sono stati scritti nel decimo anno, Dio propiziante, del signor imperatore Corrado, 8 novembre, indizione quinta.
Redatto nella località di Genivolta, come si legge.

(SM) Io Ubaldo, vescovo per grazia di Dio, ho sottoscritto in questo libello da me fatto.
(SM) Io conte Arduino ho sottoscritto.
(SM) Io Gisulfo, giudice del sacro palazzo, sono intervenuto.
(SM) Io Giselberto, giudice del sacro palazzo, sono intervenuto.
Segno di mano di Ariprando Gandulfo e di Pietro e di Liuprando, che qui furono testi.
(SN) Io Guglielmo, notaio e giudice del sacro palazzo, sono qui presente e ho scritto questo libello.
Segno di mano della contessa lmelda in persona, che ha chiesto che questo libello fosse fatto.
(SM) Io Bernardo, giudice e avvocato del sacro palazzo, sono intervenuto.
(SM) Giovanni, giudice del sacro palazzo, intervenne.
(SM) Adamo, giudice del sacro palazzo, intervenne.

ANNINSKIJ S.A., Akty Kremonij, voi. I, n° 7, pag. 85, Mosca - Leningrado, 1937.
PORRO LAMBERTENGHI G., Codex Diplomaticus Langobardiae, 68, n° 76 (regest.), Torino 1873.



PRECETTO
anno 1040




Documento num. 3


Enrico III conferma le proprietà al vescovo Ubaldo.

Questo e lo stesso documento a cui fa riferimento il "nostro storico".

Il re Enrico III conferma al vescovo di Cremona Ubaldo e alla sua chiesa la pieve di Misano, la decima del castello di Agnadello spettante alla pieve di Arzago e quella di Morengo di ragione della pieve di Fornovo, la metà del castello di Cortegano (Cortetano nel cremonese), che compete all' abbazia di S. Lorenzo, beni che al tempo del defunto vescovo Landulfo erano stati usurpati da Gariardo nipote dell'arcivescovo di Milano Ariberto.

Nel nome del Signore Dio eterno. Enrico re per il favore della divina clemenza. "Se concediamo ai pastori delle sante chiese di Dio ciò che essi legittimamente dai nostri fedeli richiedono presso la nostra reale maestà, non dubitiamo che ciò ci sia utile il merito dell'eterna ricompensa". Di conseguenza l'interessamento di tutti i nostri fedeli della santa chiesa di Dio, presenti e anche futuri, sappia che Ubaldo venerabile vescovo della santa chiesa di Cremona e nostro diletto fedele attraverso il signor Erimanno reverendissimo arcivescovo di Colonia e nostro dolcissimo cugino, umilmente ha riferito alla nostra regia potenza in qual maniera egli avesse trovata la sua chiesa malridotta dall'incuria e logorata per le molte calamità e miserie; e infatti al tempo della savia memoria di Corrado imperatore augusto, genitore nostro, il signor Landulfo della prenominata chiesa e sempre fedelissimo in ogni circostanza alla fazione del Romano Impero, oppresso da una grave malattia, aveva vissuto per un lungo periodo nell'infermità. Durante la lunga malattia del quale, la sua chiesa subì un grosso danno, principalmente da parte di Gariardo nipote di Ariberto arcivescovo di Milano, il quale per l'audacia di suo zio che organizzava secondo la sua volontà tutto il regno d'Italia, esaltato dall'orgoglio attuava con autorità nel regno tutto ciò, giusto o ingiusto, che a lui piaceva. Invase pertanto la corte e la pieve di Arzago contro la volontà e senza il permesso del vescovo che era malato gravemente e da tempo. A lui, una volta lasciato il mondo terreno per migrare nei cieli, succedette il vescovo Ubaldo, nostro fedelissimo in tutto. Al quale essendo necessario accedere alla consacrazione episcopale, non riuscì di ottenere da parte dell'arcivescovo affinchè fosse consacrato, se non avesse concesso a suo nipote la pieve e la corte che era stata invasa ingiustamente e con la forza. Poiché di fronte a questo ricatto la sua consacrazione si protraeva a lungo, non spontaneamente ma costretto concesse ciò che veniva preteso, non potendo ottenere in altro modo la consacrazione. E poiché in realtà sopportava di mal animo ciò che per conseguenza aveva fatto, presso l'eccellenza del nostro padre si lamentò numerose volte che non aveva fatto ciò di sua spontanea volontà.
Volendo restituire al vescovo Ubaldo la predetta corte e pieve, spesso e sempre più di frequente mediante lettere inviò all'arcivescovo di Milano affinchè abbandonasse quelle che erano di spettanza dell'episcopio; cosa che mai riuscì ad ottenere; ma per istinto del diavolo, al quale aveva servito fedelmente fin dalla culla così come è manifesto a tutti, tanto agli Italiani quanto ai Tedeschi, disprezzando la sua delegazione, detenne la sopraddetta e non ebbe paura ad invaderne molte altre più grandi in spregio e vilipendio del genitore, cioè la pieve di Misano con ogni sua pertinenza, la decima del castello di Agnadello pertiente alla predetta pieve di Arzago, la decima di Morengo attinente alla pieve di Fornovo nonché anche la metà del castello di Cortegano pertinente all'abbazia di San Lorenzo.
Allora Corrado venne sul luogo, e avendo appreso che l'arcivescovo, violato il giuramento di fedeltà che a lui aveva fatto, aspirava ad impadronirsi il regno, dietro istigazione di Gariardo e a lui totalmente favorevole, gli tolse giustamente ogni terra predetta dal momento che era reo di lesa maestà e degno di proscrizione e le restituì all'episcopio; ma quando il nostro genitore lasciò il regno non ebbe paura ad invadere di nuovo ogni terra, con disprezzo per la riverenza e il rispetto all'imperatore. Noi in verità, avendo compassione per la diminuzione e la miseria dell'episcopato e considerando il disonore paterno, concediamo che tutte queste terre debbano appartenere per l'eternità all'episcopio, e inoltre per l'autorità del nostro comando stabiliamo che esso le debba ritenere, proprio per questa ragione, che nessuno, arcivescovo, vescovo, duca, marchese, conte, visconte o qualunque persona, importante o meno che sia, del nostro regno osi privare di ciò la chiesa. Qualora poi qualcuno, cosa che non crediamo avverrà in futuro, si distinguerà come temerario violatore di questo nostro comando, sappia che dovrà risarcire mille libbre di oro purissimo, metà nel nostro tesoro e metà alla predetta chiesa, al vescovo e ai suoi successori. E affinchè si creda ciò valido e si osservi più diligentemente da parte di tutti, ordiniamo a lui che fosse redatto questo documento della nostra volontà firmandolo di nostro pugno, e che fosse contrassegnato mediante l'impressione del nostro sigillo.


Originale incompleto. Monaco di Baviera, proprietà privata.




In dono alla Repubblica Milanese



Prima di redigere il diploma sottoriportato in cui Federico Barbarossa dona la Geradadda alla repubblica milanese, il Barbarossa distrusse Crema nell'anno 1160, e la stessa Milano nel 1162. Riportiamo pertanto un fatto dell'Ottobbre 1160 che riguardò da vicino la famiglia feudale arzaghese e sicuramente gli stessi arzaghesi.
Il fatto è tratto dalla Storia di Federico I° di Ottone Morena e riportato nel volume primo della Storia di Rivolta D'Adda alla pagina 76.

(I Milanesi)... col conte Enrico Di Crema e con altri soldati cremaschi venendo da Dovera verso Lodi, quasi fino davanti al porto pubblico galopparono a briglia sciolta, dopo aver lasciato la maggior parte dei loro più in giù del paese di Dovera, perchè si nascondessero lì e catturassero di sorpresa i Lodigiani. I Lodigiani, da parte loro, come udirono le grida ostili cavalcando furibondi e prontamente oltre il ponte dell'Adda, e inseguendo gagliardamente i Milanesi prima che potessero ritornare a Dovera, li raggiunsero. E pur non essendosi ancora dei Lodigiani riuniti lì più di venti, quelli cioè che avevano preceduto gli altri, distribuendo fendenti tra i Milanesi, sbalzarono da cavallo alcuni di essi e presero Alberto d'Arzago, mentre gli altri Milanesi si davano precipitosamente alla fuga, perchè non intendevano far resistenza finchè non si fossero rifugiati presso i loro compagni celati nei nascondigli. Intanto, quelli nascosti vedondo che i Lodigiani ormai si erano avvicinati, d'improvviso balzarono allo scoperto, gettandosi in massa sopra i Lodigiani. I lodigiani, che si erano trovati lì ancora troppo pochi, davanti a quella grande moltitudine, non avendo speranza di poter resistere a qull'attacco, d'improvviso voltarono le spalle. Di Lodigiani in questa azione ne furono catturati quattro: cioè Arialdo d'Arzago, che era Milanese, ma dopo la presa di Crema era diventato cittadino di Lodi, e Bernardo da Bagnolo che era stato riscattato da un'altra cattura, e Ottone Denario e anche Manfredo Morena figlio mio. Catturati questi, i Milanesi e i Cremaschi presero la via del ritorno. Intanto i Lodigiani, sia quelli che si erano spinti avanti, sia quelli che venivano dietro, riunitisi in un unico gruppo, cavalcarono inseguendo i Milanesi fin nei pressi del castello di Rivolta.....

....Che Rivolta fosse in sostanza un protettorato( o un dominio ) diretto o indiretto della grande famiglia dei De Capitani D'arzago non c'è dubbio(5)....
Il dubbio però sorge sulle sorti di Arzago e della sua gente. Sicuramente in quel frangente dovette subire qualche assedio, dal momento che il Barbarossa non andava troppo per il sottile.


(5)Il borgo sull'alta riva "Castrum Ripaltae Siccae". Anno 1983 vol 1 pag 62.




Diploma di Federico I Imperatore,
col quale assegna al Comune
milanese numerosi castelli posti
tra l'Adda e l'Oglio, anno 1186.


In nome della santissima Trinità. Federico, per divina clemenza Imperatore Augusto dei Romani. Si addice alla maestà Imperiale esser venerabile non solo per le leggi e per il prestigio di una rigorosa gistizia, ma essere anche encomiabile per i generosi benefici dell'Imperiale munificenza. E specialmente nell'agire, questa deve essere la sua lungimirante discrezione, così che, osservata diligentemente la fedeltà dei singoli, a ciascuno risponda in modo adeguato ai rispettivi meriti, in rapporto alla qualità e quantità dei servigi.
Egli degni dunque particolarmente della grazia della sua famigliarità quelli che l'inalterabile fedeltà renda meritevoli del favore di un Principe. E annoverando con certezza nel numero di essi, anzi anteponendo ai più diletti e fedeli nostri Podestà e Consoli, nonchè il Comune della Città di Milano, al Comune stesso della già detta Città per mera liberalità della grazia Imperiale concediamo Rivolta, Casirate, Agnadello, Pandino, Misano, Vailate, Calvenzano, Arzago, Paladino, Tornio, Comazzano, Gradella, Dovera, Roncadello, Prada (= Corte di Palasio), Vidalengo, Pagazzano, Caravaggio, Potenzo (= Pontirolo o Corenzo ?), Brignano, e tutti gli altri luoghi adiacenti ad essi, i quali si è certi che un tempo il comune di Milano ha avuto e posseduto tra l'Adda e l'Oglio. E affinchè d'ora in avanti abbia in essi ogni giurisdizione, consuetudine e buone usanze tanto nei fodri (= annona militare) quanto negli averi e nei vettovagliamenti, e nelle altre ragioni e oneri pertinenti alle cose e alle persone; così come negli altri luoghi il Contado Milanese fu solito avere e possedere, confermiamo formalmente con la Comune Autorià Imperiale.
E nessun Duca, nessun Marchese, nessun Conte, nè Capitano, nessuna Città, nessun Comune, nessun Podestà, nessuna persona infine nè umile nè alta, secolare o Ecclesiastica, osi violare questo scritto della maestà nostra, nè presuma di aggravare i predetti Fedeli nostri con qualche ingiuria o danno.
Che se qualcuno farà questo, in punizione della sua temerità raccolga cento libbre di oro puro, di cui paghi la metà alla Camera Imperiale, e il rimanente poi a quelli che hanno subito l'offesa. Di questo sono testimoni Rodolfo Vescovo eletto di Treviri, Willelmo Vescovo di Asti, Bonifacio Vescovo di Novara, Federico Preposto di San Tommaso in Argentina, Bonifacio Marchese del Monferrato, il Marchese Moroello, i Giudici della nostra Curia Rodolfo de Repraetis Wilre, Alberto di Ferrara, Ottobello di Milano, Guidone di San Nazzario e Raniero suo fratello, Rodolfo Camerario e numerosi altri.
Segno del Signore Federico Imperatore invittissimo.
Io Gotefredo Cancelliere dell'Aula Imperiale, in sostituzione di Filippo Arcivescovo di Colonia e Arcicancelliere d'Italia, ho autenticato.
Queste cose furono fatte nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1186. Indizione quarta, regnando il Signore Federico gloriosissimo Imperatore dei Romani, nell'anno 34° del suo Regno, 32° del suo Impero.
Data nel Territorio Cremonese durante la distruzione di Castel Manfredo, V Idi (= 9) Giugno felicemente , amen.



Con tutta la Geradadda Arzago passava dunque sotto la giurisdizione di Milano.
Nel diploma imperiale si parla di contado, il che significa - secondo la mentalità del tempo - tutto il territorio in totale sudditanza della città sotto l'aspetto economico e politico. Non in fatto di giurisdizione ecclesiastica.





CARTA DI CESSAZIONE E DI REFUTAZIONE





Il conte di Bergamo Ribaldo del fu Rogerio dichiara i suoi beni territoriali posti nel Cremonese, che i suoi predecessori hanno tenuto e che egli tiene come feudo del vescovo di Cremona. Indi egli refuta gli stessi beni nelle mani del vescovo Sicardo. Per uno di tali beni, più precisamente per 7 iugeri di prato in "Tetholo in Curte Suspiri", egli libera dalla dipendenza feudale un certo Tallamacio che agisce a nome proprio e a nome dello zio Guglielmo e dei fratelli Martino e Giannino. Infine il vescovo Sicardo lo infeuda dello stesso terreno.

1196, 25 agosto, XIV: Genivolta.

(ST) Nel giorno di domenica 25 del mese di agosto, presso il castello di Genivolta Vecchia, in presenza dei Pari della Curia signor Sicardo vescovo di Cremona, nonché il signor Tallamacio Gaildoli, e Ottolino Berenzani, a Alberto Gastaldo di Genivolta, e Adamo Storduli, come essi stessi dichiaravano al cospetto del signor vescovo, mentre il signor vescovo dichiarava la stessa cosa. Il conte Ribaldo, figlio del fu conte Ruggero della contea di Bergamo, dichiarò che il conte Arduino, il conte Airaldo, il conte Ardicione, il conte Alberto e il conte Ruggero ricevettero dall'episcopio di Cremona e tuttora egli personalmente tiene in feudo da parte dell'episcopio e dell'infrascritto signor vescovo tutte le infrascritte cose, cioè: il capitanatico della pieve e plebato di San Faustino di Scandolara e delle decime del plebato stesso, e metà in comune di tutto il castello, località, corte e territorio di Misano e la decimaria di Vidalengo, il castello e la località e corte e territorio di Bòzzolo, e sette iugeri a Tedòlo nella corte di Sospiro, e il feudo di Oscasale, Montecollere, Pianengo, Crotta, Arzago, Casirate e Farinate; e gli infrascritti feudi consistono in castelli, luoghi, corti e territori, cataniatiche e decimarie, nonche in case, cappelle, masserie, distretti e telonèi, quali siano e quanti come l'infrascritto signor vescovo Sicardo ha dichiarato e garantito.
Dopo questa dichiarazione e garanzia, in presenza dei sopraddetti Pari, l'infrascritto conte Ribaldo pose in essere la cessazione, la refutazione e il patto di non reclamo e la consegna nelle mani dell'infrascritto signor vescovo, ricevente tutto questo a nome del suo episcopio, e nominativamente tutte le sopraddette cose, e oltre a ciò l'infrascritto conte Ribaldo diede, cedette e consegnò all'infrascritto signor vescovo, a nome del di lui episcopiò, tutti i diritti, azioni e ragioni che gli competevano sia rispetto ai beni materiali sia personalmente a nome o in rapporto alle suddette cose verso i vassalli e .... i vassalli e coloni delle terre e i detentori di esse oppure i possessori delle infrascritte cose. E si designò possessore al tutte le sopraddette cose a nome dell'infrascritto vescovo e del suo episcopio.
E ordinò che lui entrasse in possesso o quasi possesso di tutte le sopraddette cose e lo nominò procuratore dei propri interessi. Inoltre l'infrascritto conte Ribaldo pose in essere la cessazione, la refutazione e il patto di non reclamo e la consegna nelle mani dell'infrascritto signor vescovo a nome del suo episcopio di tutto quello che mai avessero tenuto i sopraddetti conti oppure egli stesso avesse tenuto dall'episcopio di Cremona e dall'infrascritto signor vescovo attraverso feudo o fondi a titolo precario oppure libellario nell'episcopato di Cremona. E inserendo una precisa condizione, l'infrascritto conte fece in modo che le infrascritte cessazioni, refutazioni, patti di non reclamo e le consegne fatte nelle mani dell'infrascritto signor vescovo a nome del suo episcopio, non sia mai lecito - né a lui né ai suoi eredi - agire contro le infrascritte cessazioni, refutazioni, patti e consegne ai danni dell'infrascritto vescovo e del suo episcopio; e se a ciò contravvenisse e così non si comportasse in ogni aspetto delle cose, allora promise all'infrascritto signor vescovo stipulante in nome dell'episcopio di addossarsene la colpa e di dargli a titolo di espiazione cento marche d'argento, e dopo il pagamento della penalità, tutte le sopraddette cose, rimanendo valido il contratto. E dopo questo, l'infrascritto conte Ribaldo giurò davanti ai santi evangeli di Dio che avrebbe mantenuto sicure e immutabili tutte le cose sopraddette. E nei riguardi dell'infrascritta cessazione, refutazione, patto e consegna, l'infrascritto conte dichiarò formalmente di aver ricevuto dall'infrascritto signor vescovo, a nome del suo episcopio, ventitrè libbre d'argento di buoni denari imperiali; e nominativamente rinunciò a ogni diritto alla contestazione del denaro non contante. E allora l'infrascritto conte scioglie il signor Tallamacio dall'impegno di fedeltà feudale che gli aveva reso per i sunnominati sette iugeri di prato a Tedòlo, nella corte di Sospiro. Di conseguenza, l'infrascritto signor vescovo, a nome del suo episcopio, concesse l'investitura del feudo onorificamente al signor Tallamacio agente a nome suo, dello zio Guglielmo e dei propri fratelli Martino e Giannino, come feudo paterno e avito degli infrascritti sette iugeri di terra prativa a Tedòlo nella corte di Sospiro.

Questo fu redatto nell'anno dall'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo 1196, nel giorno infrascritto, indizione XIV.

(ST) Io, Lanfranco, notaio di Federico imperatore, fui presente e rogato di mettere per iscritto, ho scritto questa carta.

ASTEGIANO L., Codex Diplomaticus Cremonae, pag. 193. n° 585, Torino, 1986/1998,- ristampa anastatica, Forni, Bologna.

FALCONI E., Le carte cremonesi dei secoli VIII-XII, n° 804, pp 385-387, Cremona, 1979-1988. - (documento riprodotto)