(...,... del suo nome
Lo titol del mio sangue fa sua cima.
(Purgatorio XIX. 101-102) (1).
Noi rispettiamo il mistero di cui ha voluto cingersi, l'Arzaghese, lo
preghiamo soltanto di usarci indulgenza se, per troppa esattezza dei suoi
schizzi storici, li toglieremo il peso per consacrarli in questi accenni
genealogici, dedicati al lustro di una famiglia dell'antichissimo patriziato
lombardo.
Nella dissertazione LXXII § 5, il Muratori reca un diploma di
Enrico II fra l'Imperatori e III fra i Re, del 1046 (un anno dopo la morte
di Ariberto) ove detto è, che Girardo o Gariardo, nipote esso di
Ariberto, arcivescovo di Milano, aveva invaso Cortem et Pleben de Arciago,
contro il volere,
(2) Questa prolusione di pagine 19 fu pubblicata nella "Storia di Treviglio
e il suo circondario."
Vedere la pagina Storico di questo sito
non che senza la permissione di Landolfo, vescovo di Cremona, da lungo
tempo ammalato(3).
Questo diploma, secondo la versione letterale fattane dal Giulini e riportata
dall'Arzaghese, narra che "Ubaldo, vescovo di Cremona, era a lui ricorso,
esponendo ch'egli avéa trovata la sua chiesa in un deplorevole stato. Imperciocchè
ai tempi dell'Imperatore Corrado, Landolfo vescovo, suo predecessore, era
stato lungamente infermo, e la sua lunga malattia avéa cagionato alla sua
mensa un non leggiero detrimento. Girardo, nipote di Ariberto arcivescovo
di Milano, affidato nell'audacia dello zio -- che regolava a suo piacere
tutto il regno d'Italia --, e perciò insuperbito, operava in questi
Stati tutto ciò che più gli piaceva, giusto o ingiusto che
fosse. Fra le altre cose invase la Corte e Pieve di Arzago, senza la permissione,
anzi contro la volontà, del vescovo, oppresso dalla sua lunga infermità...
Questo Girardo, o Gariardo, che cosi lo nomina Ariberto stesso in due disposizioni
testamentarie da lui fatte, morì prima dello zio arcivescovo, come
si vede nella seconda di quelle disposizioni, e lasciò tre figliuoli,
il primogenito dei quali si nominava, come il padre Gariardo....
Segue il diploma, e dice che, essendo finalmente morto Landolfo, vescovo,
fu sostituito in suo luogo Ubaldo, il quale, dovendo ricevere la consacrazione
dal suo metropolitano, non potè ottenerla in altra guisa, che col
confermare a Girardo il possesso della Corte e della Pieve d'Arzago. Se
bene, poiché fu consacrato, tosto ricorse all'Imperatore Corrado,
e gli raccontò come egli avéa fatta tale concessione non già
spontaneamente, ma per non poter fare a meno. Allora quel sovrano, e con
lettere, e per mezzo di legati, commandò moltissime volte all'arcivescovo
di restituire la Corte e la Pieve al vescovado di Cremona, ma senza frutto;
perocchè Ariberto -- per istinto del diavolo, a cui avéa sempre
servito fin dalla cuna, come era noto a tutti li Italiani e a tutti i Tedeschi--,
sprezzando la Regia Ambasciata, non solo avéa sempre ritenuta la Corte
e la Pieve occupata, ma di più, per maggiore sprezzo de'sovrani
comandi, avéa tolto al vescovo Cremonese la Pieve di Misiano (ora Misano)
con ogni sua pertinenza, la decima del Castello Aganello (ora Agnadello)
che apparteneva alla Pieve d'Arzago, la decima del luogo di Mauringo (ora
Morengo nel Bergamasco), che spettava alla Pieve di Fornovo, e la metà
del Castello di Cortegano (ora Cortetano nel Cremonese), che era della
Badia di S. Lorenzo di Cremona... Finalmente racconta l'Imperatore nel
suo privilegio che venne in Italia Corrado suo padre ed, avendo conosciuto
che l'Arcivescovo, violata la fedeltà a lui giurata, per istigazione
del suo nipote Gariardo e con l'ajuto del medesimo, già aspirava
ad invadere tutto il regno, come ad un reo di lesa Maestà e degno
del bando imperiale, gli tolse tutte le predette terre e corti e pievi
e decime e le restituì al Vescovo.
(3)"Arzago oltre l'Adda; schizzo storico di un Arzaghese" pag. 11
Se bene con poco frutto, perché appena Corrado fu partito dall'Italia,
che Ariberto, posta in non cale la riverenza ed il rispetto dovuto al suo
principe, tornò ad occupare ogni cosa. Quindi è che Enrico,
avendo compassione allo stato infelice del Vescovo di Cremona, gli rende
quei beni e dichiara che il suo Vescovado li debba godere perpetuamente.
Il Fiamma nel suo manipolo dei fiori (cap. 137 e 138 in Rerum italicarum
collectione tom. XI), parlando di Ariberto o (Eriberto), non lo chiama
da Antimiano ma da Arzago oltre l'Adda... onde potrebbe nascere il sospetto
che la famiglia di quel Prelato, avendo acquistata la Corte e la Pieve di
Arzago, a cui era annesso il titolo di capitanato, lasciasse la prima denominazione,
e si chiamasse De Capitani d'Arzago.
Certamente dopo Ariberto non si trovò più alcuna memoria
del casato d'Antimiano, e all'incontro molte se ne trovano di quello De
Capitani d'Arzago oltre l'Adda.
Dal diploma trascritto veniamo a conoscere che non i fratelli di Ariberto,
come scrisse il Tettoni, ma il nipote invase la Corte e Pieve d'Arzago
creandosene un Capitano, e che quindi d'allora i discendenti di Girardo
chiamaronsi De Capitani d'Arzago.
Se non che non tutti i membri di questa casa portano lo stesso nome;
taluni assunsero soltanto quello di Arzago. Ed infine a conferma maggiore
delle consuetudini in forza delle quali corrottamente chiamaronsi Capitani
o Caitanei, i Capitani in generale, vogliam dire quelle cariche o dignità
che prendevano rango tra i valvassori maggiori, troveremo alcuni personaggi
della famiglia De Capitani, registrati in pubblici atti, sotto il nome
di Cataneo e di Catanei.
Malgrado quanto riferisce il Giulini, nel trascritto diploma, è
d'uopo ritenere che la signoria d'Arzago non andasse interamente perduta
per la famiglia in parola, poichè nel 1150, i detti signori d'Arzago,
che erano pure Gonfalonieri di Como ed avevano considerevoli proprietà
nella valle chiavennasca, si trovano ricordi in una carta di transazione
del mese di settembre 1150, mediante la quale cedono al comune di Chiavenna
un feudo già acquistato "da Alberico e Lanfranco di Oureno, vassalli
dei suddetti signori d'Arzago, i quali ne investono il comune stesso coll'obbligo
che ad ogni richiesta dei detti signori e loro eredi, un uomo del comune
di Chiavenna debba servirli senza frode e senz'altro obbligo di fedeltà
(sine fraude sine, alia fidelitate facienda) andando con essi da Chiavenna
a Mazzola".(4)
Carlo Annoni nella sua opera "Monumenti della prima metà del
secolo XI spettanti all'arcivesco di Milano Ariberto da Intimiano" cita
il suddetto diploma e vi pone una sua nota, alla pagina 51, così
concepita "...Noi non vogliamo qui depurare quelle accuse fatte a carico
di quei personaggi
(4) G.B. Crollalanza "Storia del contado di Chiavenna" pag.79.
(cioè Ariberto e il nipote Gairardo) perchè ciò porterebbe
a troppo lunga discussione, e però ci limitiamo a dire, che alcuni
anni prima di Ubaldo, una delle porte di Cremona portava il nome di Porta
Ariberto; che il suo Carroccio ebbe nome Gairardo. In secondo luogo la
pieve d'Arzago (diversa da quella posta nel contado del Seprio, ora nel
mandamento di Varese) nella diocesi di Cremona, ne avéa una porzione nella
diocesi di Milano il che facilmente può aver dato luogo ad equivoci
nell'accuse del Vescovo Ubaldo, e finalmente che le espressioni usate
da quel vescovo, che cioè Ariberto per istinto del diavolo, a cui
avéa servito sempre fin dalla nascita, sono tali da rendere indizio, che
Ubaldo non parlava se non per istinto dell'interesse".
Queste osservazioni fanno comprendere che Gariardo perdette quella parte
del Capitanato d'Arzago che trovavasi sul territorio di Cremona, mentre
invece quell'altra parte che costituiva il borgo d'Arzago, presso Treviglio,
indubbiamente restò a lui con il diritto di trasmetterla ereditariamente.
Oltre a ciò troviamo talune particolarità di fatti che confermano
il possedimento della signoria d'Arzago nella detta famiglia, la quale
anche ai nostri giorni, conserva alcuni beni in quell'antica Pieve.
Abbiamo visitato quei luoghi prima d'intraprendere la storia che qui stiamo
esponendo, e non solo in molti siti si conserva il nome di possessione
dei Capitani d'Arzago, ma nell'antico castello, ove in oggi trovasi un'osteria
di campagna, affatto lombarda, vi è tuttora dipinta l'arma De Capitani
d'Arzago.
Tutto ciò prova indubbiamente, che per quanto l'Imperatore Enrico
avesse pietà dello stato infelice del Vescovo di Cremona, a cui
rendeva i beni, Gairardo, appoggiato dallo zio Ariberto, seppe trovare
il mezzo, non solo di conservarne una parte, ma di farsi infeudare dallo
stesso Imperatore, come Capitano imperiale; fatto da non mettersi in questione,
poiché nell'arma d'Arzago troviamo l'aggiunta del capo dell'Impero, vale
a dire quell'aquila nera in campo d'oro movente dal castello rosso, che
rappresenta appunto il distintivo dei Capitani imperiali.
Il nostro soggetto non ci permette di spiegare la storia, tuttavia una
nota ci sarà concessa per chiarire le nostre parole e dare una idea
dei così detti Capitani e Valvassori a quei lettori che non hanno
consultati tutti gli scrittori che trattarono tale argomento.(5)
(5)Per ispiegare l'origine del nome di alcuni Castellani che, dalla carica,
venivano appunto denominati Capitani, gli scrittori hanno dato delle versioni
le quali si prestano a generare confusione en interpretazioni diverse.
La parola Capitano ha origine greca origine, e non è che l'alterazione
della voce Catàpan, con la quale venivano designati i governatori
greci o bizantini, delle province imperiali.
da uno scritto conservato presso
l'archivio parrocchiale d'Arzago