Fac-simile:Stemma Famiglia De Capitani d'Arzago

DE CAPITANI D'ARZAGO


Arma: Sei bande d'argento e di rosso, alternate sotto un capo d'oro carteato d'un castello merlato di cinque pezzi, di rosso, aperto del campo e movente dalla partizione, sormontato da un'aquila in volo spiegato e coronata di nero: elmo d'argento inchiodato e graticolato d'oro, adorno di cercine e di svolazzi d'oro e di nero, e tre penne di struzzo, due bianche ed una rossa nel mezzo in cimiero, come pennacchio.


Origini del nome e della famiglia

Il nome di De Capitani d'Arzago, ora portato dalla famiglia della quale ci accingiamo ad esporre la storia, non è l'appellativo col quale essa distinguevasi dapprima.
Leoni Tettoni nella prefazione del volume III del "Teatro Araldico", discorrendo degli Arzaghi di Milano, scrive; che nell'anno 1018, quando i fratelli dell'Arcivescovo di Milano, Ariberto d'Intimiano, si resero padroni della Pieve d'Arzago, abbandonarono il cognome d'Intimiano ed assunsero quello di Capitani d'Arzago(1).

(1) Il Tettoni cade in errore parlando dei fratelli di Eriberto, poiché fu invece suo nipote che s'impossessò delle Pieve d'Arzago, come risulta da un diploma che citeremo fra breve.
Nota: in realà tutti gli storici concordano come data della occupazione della Pieve l'anno 1030 1nzichè il 1018.


Il patrocinio gentilizio adunque, secondo il Tettoni e molti altri autori da noi consultati, era d'Intimiano, e parrebbe che avesse origine dalla signoria omonima.
Ariberto o Eriberto nacque in Intimiano (piccolo borgo lombardo presso Cantù nella provincia di Como) e propriamente nell'antico castello ove oggi trovasi la casa Luraschi, dopo la meta del X secolo. Suo padre, Gariardo, era ancora signore d'Intimiano al secolo XI, e per questo motivo soltanto molti scrittori dell'epoca lo chiamano d'Intimiano, senz'aver la pretesa di accennare al cognome.
Così pure Ariberto fu detto d'Intimiano, perché quivi ebbe i natali; allo stesso modo che altri della medesima famiglia, furono distinti con lo stesso appellativo, perché dalla casa del Signore d'Intimiano discesi; ciò che darebbe pur luogo ad ammettere che Gairardo o i suoi antenati, prima di essere signori d'Intimiano, portassero altro nome se non sapessimo che i cognomi non esistevano prima del mille e che le signorie, tutti sanno, ne originarono molti.
Soventi ancora Ariberto, e chiamato da Cantù o da Como, per la vicinanza o dipendenza d'Intimiano dai detti luoghi.
Ora per conoscere chiaramente in qual modo si adottasse in cognome d'Arzago o Arsaghi e poscia quello di De Capitani d'Arzago, dai parenti del celebre Arcivescovo e dai loro discendenti, converrà consultare un piccolo opuscolo, di pagine poche, ma di erudizione copiosissimo(2), non potendoci contentare delle informazioni che ne dà il Tettoni.
Quest'opuscolo, stampatosi a Milano coi tipi delle Perseveranza nel 1873, è una elaborata ed interessante monografia, intitolata (Arzago oltre l'Adda, schizzo storico di un Arzaghese). L'autore di essa non rivela il proprio nome; ma ad epigrafe del suo studio, ingegnosamente, ha pensato di scriversi i versi dell'Alighieri.


(...,... del suo nome
Lo titol del mio sangue fa sua cima.
(Purgatorio XIX. 101-102) (1).


Noi rispettiamo il mistero di cui ha voluto cingersi, l'Arzaghese, lo preghiamo soltanto di usarci indulgenza se, per troppa esattezza dei suoi schizzi storici, li toglieremo il peso per consacrarli in questi accenni genealogici, dedicati al lustro di una famiglia dell'antichissimo patriziato lombardo.
Nella dissertazione LXXII § 5, il Muratori reca un diploma di Enrico II fra l'Imperatori e III fra i Re, del 1046 (un anno dopo la morte di Ariberto) ove detto è, che Girardo o Gariardo, nipote esso di Ariberto, arcivescovo di Milano, aveva invaso Cortem et Pleben de Arciago, contro il volere,

(2) Questa prolusione di pagine 19 fu pubblicata nella "Storia di Treviglio e il suo circondario."
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non che senza la permissione di Landolfo, vescovo di Cremona, da lungo tempo ammalato(3).
Questo diploma, secondo la versione letterale fattane dal Giulini e riportata dall'Arzaghese, narra che "Ubaldo, vescovo di Cremona, era a lui ricorso, esponendo ch'egli avéa trovata la sua chiesa in un deplorevole stato. Imperciocchè ai tempi dell'Imperatore Corrado, Landolfo vescovo, suo predecessore, era stato lungamente infermo, e la sua lunga malattia avéa cagionato alla sua mensa un non leggiero detrimento. Girardo, nipote di Ariberto arcivescovo di Milano, affidato nell'audacia dello zio -- che regolava a suo piacere tutto il regno d'Italia --, e perciò insuperbito, operava in questi Stati tutto ciò che più gli piaceva, giusto o ingiusto che fosse. Fra le altre cose invase la Corte e Pieve di Arzago, senza la permissione, anzi contro la volontà, del vescovo, oppresso dalla sua lunga infermità...
Questo Girardo, o Gariardo, che cosi lo nomina Ariberto stesso in due disposizioni testamentarie da lui fatte, morì prima dello zio arcivescovo, come si vede nella seconda di quelle disposizioni, e lasciò tre figliuoli, il primogenito dei quali si nominava, come il padre Gariardo....
Segue il diploma, e dice che, essendo finalmente morto Landolfo, vescovo, fu sostituito in suo luogo Ubaldo, il quale, dovendo ricevere la consacrazione dal suo metropolitano, non potè ottenerla in altra guisa, che col confermare a Girardo il possesso della Corte e della Pieve d'Arzago. Se bene, poiché fu consacrato, tosto ricorse all'Imperatore Corrado, e gli raccontò come egli avéa fatta tale concessione non già spontaneamente, ma per non poter fare a meno. Allora quel sovrano, e con lettere, e per mezzo di legati, commandò moltissime volte all'arcivescovo di restituire la Corte e la Pieve al vescovado di Cremona, ma senza frutto; perocchè Ariberto -- per istinto del diavolo, a cui avéa sempre servito fin dalla cuna, come era noto a tutti li Italiani e a tutti i Tedeschi--, sprezzando la Regia Ambasciata, non solo avéa sempre ritenuta la Corte e la Pieve occupata, ma di più, per maggiore sprezzo de'sovrani comandi, avéa tolto al vescovo Cremonese la Pieve di Misiano (ora Misano) con ogni sua pertinenza, la decima del Castello Aganello (ora Agnadello) che apparteneva alla Pieve d'Arzago, la decima del luogo di Mauringo (ora Morengo nel Bergamasco), che spettava alla Pieve di Fornovo, e la metà del Castello di Cortegano (ora Cortetano nel Cremonese), che era della Badia di S. Lorenzo di Cremona... Finalmente racconta l'Imperatore nel suo privilegio che venne in Italia Corrado suo padre ed, avendo conosciuto che l'Arcivescovo, violata la fedeltà a lui giurata, per istigazione del suo nipote Gariardo e con l'ajuto del medesimo, già aspirava ad invadere tutto il regno, come ad un reo di lesa Maestà e degno del bando imperiale, gli tolse tutte le predette terre e corti e pievi e decime e le restituì al Vescovo.

(3)"Arzago oltre l'Adda; schizzo storico di un Arzaghese" pag. 11


Se bene con poco frutto, perché appena Corrado fu partito dall'Italia, che Ariberto, posta in non cale la riverenza ed il rispetto dovuto al suo principe, tornò ad occupare ogni cosa. Quindi è che Enrico, avendo compassione allo stato infelice del Vescovo di Cremona, gli rende quei beni e dichiara che il suo Vescovado li debba godere perpetuamente.

Il Fiamma nel suo manipolo dei fiori (cap. 137 e 138 in Rerum italicarum collectione tom. XI), parlando di Ariberto o (Eriberto), non lo chiama da Antimiano ma da Arzago oltre l'Adda... onde potrebbe nascere il sospetto che la famiglia di quel Prelato, avendo acquistata la Corte e la Pieve di Arzago, a cui era annesso il titolo di capitanato, lasciasse la prima denominazione, e si chiamasse De Capitani d'Arzago.

Certamente dopo Ariberto non si trovò più alcuna memoria del casato d'Antimiano, e all'incontro molte se ne trovano di quello De Capitani d'Arzago oltre l'Adda.
Dal diploma trascritto veniamo a conoscere che non i fratelli di Ariberto, come scrisse il Tettoni, ma il nipote invase la Corte e Pieve d'Arzago creandosene un Capitano, e che quindi d'allora i discendenti di Girardo chiamaronsi De Capitani d'Arzago.
Se non che non tutti i membri di questa casa portano lo stesso nome; taluni assunsero soltanto quello di Arzago. Ed infine a conferma maggiore delle consuetudini in forza delle quali corrottamente chiamaronsi Capitani o Caitanei, i Capitani in generale, vogliam dire quelle cariche o dignità che prendevano rango tra i valvassori maggiori, troveremo alcuni personaggi della famiglia De Capitani, registrati in pubblici atti, sotto il nome di Cataneo e di Catanei.
Malgrado quanto riferisce il Giulini, nel trascritto diploma, è d'uopo ritenere che la signoria d'Arzago non andasse interamente perduta per la famiglia in parola, poichè nel 1150, i detti signori d'Arzago, che erano pure Gonfalonieri di Como ed avevano considerevoli proprietà nella valle chiavennasca, si trovano ricordi in una carta di transazione del mese di settembre 1150, mediante la quale cedono al comune di Chiavenna un feudo già acquistato "da Alberico e Lanfranco di Oureno, vassalli dei suddetti signori d'Arzago, i quali ne investono il comune stesso coll'obbligo che ad ogni richiesta dei detti signori e loro eredi, un uomo del comune di Chiavenna debba servirli senza frode e senz'altro obbligo di fedeltà (sine fraude sine, alia fidelitate facienda) andando con essi da Chiavenna a Mazzola".(4)
Carlo Annoni nella sua opera "Monumenti della prima metà del secolo XI spettanti all'arcivesco di Milano Ariberto da Intimiano" cita il suddetto diploma e vi pone una sua nota, alla pagina 51, così concepita "...Noi non vogliamo qui depurare quelle accuse fatte a carico di quei personaggi

(4) G.B. Crollalanza "Storia del contado di Chiavenna" pag.79.


(cioè Ariberto e il nipote Gairardo) perchè ciò porterebbe a troppo lunga discussione, e però ci limitiamo a dire, che alcuni anni prima di Ubaldo, una delle porte di Cremona portava il nome di Porta Ariberto; che il suo Carroccio ebbe nome Gairardo. In secondo luogo la pieve d'Arzago (diversa da quella posta nel contado del Seprio, ora nel mandamento di Varese) nella diocesi di Cremona, ne avéa una porzione nella diocesi di Milano il che facilmente può aver dato luogo ad equivoci nell'accuse del Vescovo Ubaldo, e finalmente che le espressioni usate da quel vescovo, che cioè Ariberto per istinto del diavolo, a cui avéa servito sempre fin dalla nascita, sono tali da rendere indizio, che Ubaldo non parlava se non per istinto dell'interesse".
Queste osservazioni fanno comprendere che Gariardo perdette quella parte del Capitanato d'Arzago che trovavasi sul territorio di Cremona, mentre invece quell'altra parte che costituiva il borgo d'Arzago, presso Treviglio, indubbiamente restò a lui con il diritto di trasmetterla ereditariamente.
Oltre a ciò troviamo talune particolarità di fatti che confermano il possedimento della signoria d'Arzago nella detta famiglia, la quale anche ai nostri giorni, conserva alcuni beni in quell'antica Pieve.
Abbiamo visitato quei luoghi prima d'intraprendere la storia che qui stiamo esponendo, e non solo in molti siti si conserva il nome di possessione dei Capitani d'Arzago, ma nell'antico castello, ove in oggi trovasi un'osteria di campagna, affatto lombarda, vi è tuttora dipinta l'arma De Capitani d'Arzago.
Tutto ciò prova indubbiamente, che per quanto l'Imperatore Enrico avesse pietà dello stato infelice del Vescovo di Cremona, a cui rendeva i beni, Gairardo, appoggiato dallo zio Ariberto, seppe trovare il mezzo, non solo di conservarne una parte, ma di farsi infeudare dallo stesso Imperatore, come Capitano imperiale; fatto da non mettersi in questione, poiché nell'arma d'Arzago troviamo l'aggiunta del capo dell'Impero, vale a dire quell'aquila nera in campo d'oro movente dal castello rosso, che rappresenta appunto il distintivo dei Capitani imperiali.
Il nostro soggetto non ci permette di spiegare la storia, tuttavia una nota ci sarà concessa per chiarire le nostre parole e dare una idea dei così detti Capitani e Valvassori a quei lettori che non hanno consultati tutti gli scrittori che trattarono tale argomento.(5)

(5)Per ispiegare l'origine del nome di alcuni Castellani che, dalla carica, venivano appunto denominati Capitani, gli scrittori hanno dato delle versioni le quali si prestano a generare confusione en interpretazioni diverse.
La parola Capitano ha origine greca origine, e non è che l'alterazione della voce Catàpan, con la quale venivano designati i governatori greci o bizantini, delle province imperiali.

da uno scritto conservato presso
l'archivio parrocchiale d'Arzago